aristotele

 

“Se la filosofia esiste, siamo

certamente tenuti a filosofare,

dal momento che essa esiste;

se invece non esiste, anche

in questo caso siamo tenuti

a cercare come mai la filosofia

non esiste, e cercando facciamo

filosofia, dal momento che

la ricerca è la causa e l'origine

della filosofia.” 

IL CONTESTO DELLE IDEE

L'importanza di Aristotele e la sua vocazione scientifica

Aristotele è uno dei massimi pensatori di tutti i tempi. Egli,infatti, ha ridefinito il ruolo della conoscenza filosofica, non più orientandola e subordinandola alla dimensione politica , ma identificandola con la conoscenza disinteressata della realtà in tutti i suoi multiformi aspetti; inoltre ha realizzato la prima formulazione delle leggi della logica e dato impulso alle ricerche in campo biologico.Ad Aristotele si deve la riorganizzazione del sapere in un sistema organico in cui a ogni scienza particolare viene riconosciuta un autonoma dignità e una propria specificità metodologica, ed è alla sua profonda e meticolosa indagine filosofica che deve essere attribuita l'elaborazione di gran parte del lessico e delle categorie fondamentali del pensiero occidentale.Aristotele si formò alla scuola di Platone. Egli fu il più importante tra gli studenti dell'Accademia, dove entrò nel 367 a.C. a diciassette anni e in cui rimase fino all'età di trentasette. Suo padre Nicomaco era stato medico alla corte del re Aminta III di Macedonia e nella sua famiglia vi era una lunga tradizione scientifica. È probabile che l'interesse del filosofo per le scienze naturali e per la biologia, che riveste un ruolo di primo piano nel suo sistema, derivi da questa eredità culturale. 

Il contesto culturale e politico e la nuova concezione della filosofia

Perché questo profondo cambiamento di prospettiva in un cosi breve volgere di anni?La risposta va ricercata sia nel mutato clima culturale e politico della città sia nell'ambiente di origine di Aristotele. Per quanto riguarda il primo aspetto,dobbiamo dire che il filosofo vive nell'epoca della crisi delle città greche, che a partire dalla metà del IV se-colo a.C. perdono progressivamente la loro forza e autonomia e vengono di fatto sottomesse all'egemonia della Macedonia,divenuta una grande potenza sotto Filippo II. La pólis, cioè quella forma di governo cittadino in cui ogni uomo libero partecipa personalmente alle decisioni dell'assemblea, è ormai un'istituzione in declino; l'attività politica tende a essere gestita da un centro di potere lontano, localizzato nella corte del sovrano, e i cittadini, che non possono più partecipare alle decisioni importanti,si disinteressano alla vicenda pubblica.A ciò si deve aggiungere che Aristotele non era ateniese, ma proveniva da una zona periferica della Grecia, la penisola Calcidica, per cui non poteva aspirare a far carriera politica ad Atene, dove era considerato uno straniero.La sua ricerca si focalizza sulla conoscenza disinteressata della realtà e il compito assegnato alla filosofia muta: non più, come in Platone, quello di farsi scienza pratica, anzi di fondersi e confondersi con la vita stessa, al fine di riscattare gli uomini dall'ignoranza e realizzare, nella società, l'ordine contemplato nella dimensione ideale, bensì quello di comprendere e descrivere l'unico mondo reale in cui l'uomo vive. 

Il Liceo

Dopo la morte del maestro nel 347 a.C., Aristotele, forse per l'insofferenza verso coloro che erano succeduti a Platone alla guida dell'Accademia, abbandonò tale istituzione e si recò ad Asso in Asia Minoredove conobbe il giovane naturalista Teofrasto, suo primo celebre discepolo: qui, e in seguito a Mitilene nell'isola di Lesbo, i due si dedicarono prevalentemente agli studi di biologia marina.Tornato ad Atene, forte della protezione di Alessandro Magno di cui nel 342 era divenuto precettore, Aristotele fondò nel 335 a.C. una nuova scuola, il Liceo, in un edificio che aveva preso in affitto fuori dalla città presso un bosco consacrato ad Apollo Licio .Benché l'organizzazione della nuova scuola non fosse molto diversa da quella dell'Accademia, tuttavia sembra che disponesse di materiale didattico decisamente più cospicuo: degna di rilievo, ad esempio, doveva essere la collezione di manoscritti che Aristo-tele aveva iniziato a radunare, dando origine a quella che può considerarsi la prima importante biblioteca della Grecia, dotata anche di una ragguardevole raccolta di carte geografiche e di un museo di storia naturale. Il Liceo aristotelico, a differenza dell'Accademia platonica, non aveva intenti religiosi o politici. Gli allievi non erano tenuti a rispettare particolari regole comuni di vita e non avevano un progetto politico da claborare o da far valere. Costituzione degli Ateniesi, scritta personalmente da Aristotele e tornata alla luce nell'Ottocento. 

L'attività didattica del Liceo

Presso il Liceo Aristotele sviluppa la sua intensa attività di studio e di ricerca, che dura fino al 323 a.C., l'anno della morte di Alessandro Magno. Secondo alcune testimonianze successive, sembra che egli dedicasse le lezioni del mattino a un pubblico selezionato di allievi con cui affrontava, forse nella forma che oggi potremmo chiamare di "seminario", i difficili temi della logica, della fisica e della filosofia, e nel pomeriggio facesse lezioni di retorica, etica e politica a un pubblico più vasto e meno specializzato.Le lezioni miravano in modo particolare a insegnare la modalità più corretta per trattare lo specifico argomento di discussione. Secondo Aristotele, infatti, non esiste un metodo universale valido per tutti i settori di ricerca: ogni singola scienza si caratterizza, oltre che per i suoi contenuti, anche per uno specifico metodo di indagine. La matematica, ad esempio, una scienza teoretica che ha per oggetto la quantità, usa i numeri e le proporzioni tra le parti e segue il metodo dimostrativo; le discipline pratiche, invece, quali ad esempio l'etica e la politica, che hanno per oggetto il comportamento umano, devono ispirarsi ad altre regole di carattere qualitativo, che conducono a verità provvisorie, non valide sempre e ovunque, ma "perlopiù", cioè in linea di massima. Per queste ultime non vale il metodo dimostrativo: esse infatti non possono aspirare al rigore e all'universalità che sono propri delle scienze teoretiche. Nell'Etica nicomachea, che è il suo più importante scritto di morale, Aristotele usa le seguenti incisive parole per spiegare questo concetto: «È proprio dell'uomo colto richiedere in ciascun genere di ricerca tanta esattezza quanta ne permette la natura dell'argomento» .Si tratta di indicazioni scientifiche e didattiche che testimoniano la volontà, da parte del filosofo, di definire procedure di indagine rigorose,metodologicamente adeguate alloggetto della ricerca, e di differenziare gli ambiti disciplinari sulla base del diverso grado di scientificità cui possono aspirare. 

Le opere giovanili

Aristotele fu innanzitutto un intellettuale e un professore: i suoi numerosissimi scritti la maggior parte dei quali in forma di trattati sistematici e rigorosamente argomentati,nascono e si diffondono nel contesto dell'attività del Liceo.Nella prima fase della sua ricerca Aristotele redasse per un pubblico di lettori non specialistico alcuni testi, scritti in forma dialogica, che vengono definiti «essoterici» perché destinati al pubblico. Essi sono andati perduti, tranne qualche frammento. Ricordiamo alcuni dei titoli più significativi , di cui possiamo ricostruire i contenuti sulla base delle testimonianze in nostro possesso: Protrettico: conteneva un invito a dedicarsi alla filosofia, cioè alla vita contemplati-va, considerata il fine supremo dell'uomo e il fondamento della vita pratica. Eudemo: dedicato a Eudemo di Cipro, amico di Aristotele, questo dialogo voleva dimostrare, alla maniera di Platone, che la vera «patria» dell'uomo non è in questo mondo, reso impuro dal divenire e dai sensi, ma nell'altro, dove si può contempla-re l'essere nella sua pienezza e purezza. 

Le opere della maturità

Sono giunte fino a noi, invece, le opere composte nella fase della maturità, quando Aristotele insegnava nel Liceo. Si tratta di saggi destinati a un uso interno della scuola, e pertanto denominati «esoterici» , che presentano la forma finica della comunicazione didattica,asciutta, sintetica e condensata, con frequenti ripetizioni e digressioni. Essi erano rivolti a un pubblico ristretto, che li adoperava come completamento e integrazione della spiegazione diretta del maestro. Le opere più ampie sopravvissute fino a oggi sono il risultato di un'accurata operazione editoriale posteriore, dovuta in particolare ad Andronico di Rodi, un intellettuale greco che tra gli anni 40 e 20 a.C. raccolse sotto il medesimo titolo i vari saggi che a suo giudizio trattavano argomenti affini. L'immagine organica che il corpus aristotelico presenta deriva in larga parte dall'opera di intelligente sistemazione dovuta ai curatori vis-suti molto tempo dopo la morte del filosofo.A essi si deve anche, in qualche misura, l'in-tenzione di presentare una trattazione sistematica di ogni argomento . 

IL PROGETTO FILOSOFICO

L'articolazione del sapere

Aristotele combatte la tendenza a ridurre il variegato campo delle conoscenze scientifico dell’autonomia che alla sola filosofia: per lui ogni singola disciplina ha oggetto, metodo e fini specifici, non riducibili a quelli delle altre. Non è difficile cogliere in questa concezione una prima fondamentale differenza rispetto all'insegnamento di Platone, che vedeva una convergenza tra tutti i saperi, giungendo a porre nell'idea del Bene il criterio universale per interpretare la realtà e nella dialettica il metodo supremo della conoscenza.Affermando l'autonomia delle singole scienze, Aristotele non intendeva,tuttavia, dare un'immagine frammentaria e discontinua del sapere. Non significa che le varie discipline siano separate tra loro e neppure che la realtà sia atomizzata in tanti "compartimenti stagni" Al contrario, Aristotele stabilisce una relazione molto stretta tra le varie articolazioni del sapere e la realtà delle cose. Nel trattato Sull'interpretazione egli è molto chiaro a questo proposito, quando dice che «la verità dei discorsi è simile a quella delle cose». In altri termini, per il filosofo c'è una rigorosa corrispondenza tra la struttura dell'essere e la sua rappresentazione nel linguaggio scientifico. Cio significa che le conoscenze rinviano alle cose, come l'immagine riflessa in uno specchio rinvia alla sua fonte esterna; d'altra parte, le cose e la loro trama unitaria rinviano all'enciclopedia del sapere che, nella molteplice articolazione dei contenuti e dei principi delle singole scienze, riflette e sintetizza l'ordine razionale del mondo.Non diversamente da Platone, Aristotele aspira dunque a un interpretazione  L'organizzazione unitaria e razionale della realtà: anzi, egli dice che questo è il compito proprio della filosofia, la quale deve rintracciare nei discorsi specialistici delle varie discipline il senso unitario delle scienze  del mondo. Ciò che Aristotele non accetta è la pretesa platonica di sottomettere tutte le scienze alla dialettica, considerata da Platone la scienza suprema e divina. Con una metafora geometrica possiamo dire che, mentre in Platone le scienze si strutturavano secondo una forma piramidale con al vertice la dialettica, in Aristotele esse si presentano allineate secondo un' organizzazione lineare e orizzontale.chiaro riflesso di un mutato clima culturale segnato dal tumultuoso sviluppo del sapere scientifico e tecnico. 

Il sistema delle scienze

Aristotele suddivide le scienze in tre grandi aree. l'area delle scienze produttive o poetiche: termine derivante dal greco póiesis,che allude al «fare», al «produrre», quindi all'ambito dell'arte e della tecnica.

1  scienze teoriche o conoscitive 

2  scienze pratiche

3 scienze produttive o poietiche 

Nell'analizzare le tre aree sopra citate, metteremo in rilievo sia i contenuti sia i metodi di ragionamento che conferiscono validità alle diverse discipline. 


le scienze teoriche



Le scienze pratiche e produttive

A differenza delle scienze teoretiche, che hanno uno scopo eminentemente conoscitivo, le scienze pratiche e quelle produttive perseguono la conoscenza in vista di un fine utile: il loro oggetto è il possibile,«ciò che può essere diverso da come è», e il loro metodo non è dimostrativo.Ad esempio, l'arte della politica studia la vita sociale e le differenti costituzioni degli Stati con lo scopo di determinare "in linea di massima" quale sia il governo capace di assicurare la felicità dei cittadini. Tale ricerca non giunge a conclusioni incontrovertibili su quale sia la forma migliore di governo, né arriva a formulare un modello ideale di Stato come quello vagheggiato da Platone.Dall'analisi delle varie costituzioniinfatti, Aristotele non deduce che una sola è buona e perfetta, ma che sono valide quelle che realizzano "in qualche misura" e "per quanto è possibile la giustizia e l'utile comune.  Le scienze pratiche comprendono l'etica e la politica e servono a guidare e orientare l'etica, il comportamento e la condotta degli uomini verso la felicità individuale o collettiva. Queste scienze hanno come oggetto il possibile, in quanto le azioni degli uomini dipendono dagli istinti o dalla volontà di ciascuno e non sono, dunque imposte dalla necessità delle cose. Esse hanno un oggetto che si risolve nell'azione stessa: ad esempio, se compio l'atto di coraggio di cercare di salvare un bambino che annega in un fiume, mettendo a repentaglio la mia vita, o concorro al bene comune rispettando le leggi, compio delle azioni buone che trovano la loro ragione e il loro fine in se stesse. A differenza delle scienze pratiche, quelle produttive, o «poetiche», tendono a realizzzare le tecniche  un prodotto che avrà una vita autonoma rispetto al soggetto che lo produce e comprendono le tecniche e le «arti belle».Di queste ultime Aristotele propone un lungo elenco, anche se poi si sofferma in par-ticolare sulla retorica e sulla tragedia, con qualche accenno alla commedia. Esse si distinguono in: arti che producono i discorsi persuasivi, cioè la retorica.Ciò che è comune alle tecniche e alle arti è il fatto di essere rivolte a oggetti non ne-cessari, ma possibili, in quanto sono libere creazioni dell'uomo: questi,infatti, può produrre o meno determinati manufatti e farli in un modo o in un altro. Inoltre esse riguar-dano opere che, appena create, si distaccano da chi le produce, assumendo un'esistenza separata. In particolare, le arti belle vengono a costituire un mondo di parole, segni, gesti e ritmi relativamente autonomo,che si tramanda ai posteri perpetuandosi oltre la vicenda biografica dell'autore; le opere d'arte, infatti, sopravvivono generalmente al loro produttore e si consegnano alla storia e alla tradizione della civiltà umana.  Possiamo dunque rilevare come tra le scienze teoretiche, pratiche e produttive non sussista soltanto una differenza di oggetto o contenuto, ma anche di rigore logico e argomentativo: se dalle scienze teoretiche (la matematica, la fisica e la filosofia) possiamo attenderci un rigore assoluto, derivante dal loro metodo dimostrativo che ci permette di raggiungere verità necessarie e incontrovertibili, per quanto riguarda invece le scienze pratiche (come l'etica e la politica) o quelle produttive (come l'arte), che adottano metodi non dimostrativi, possiamo aspettarci soltanto verità relative e valide "in linea di massima" o "perlopiù". Per queste ultime permane sempre, infatti, la possibilità dell'eccezione.


LA METAFISICA

L'interpretazione delle idee platoniche come "essenze" delle cose

la metafisica, che è la scienza fondamentale proprio perché si occupa delle caratteristiche universali dell'essere.
Platone riteneva che le idee fossero superiori alle cose e al mondo sensibile e che solo la loro esistenza potesse assicurare un valore oggettivo alla nostra conoscenza. Le cose, infatti, essendo mutevoli e imperfette, erano considerate fonte di errore e d'inganno, mentre le idee, immutabili e perfette,rappresentavano il vero essere di cui si poteva ottenere una conoscenza assoluta e universale. Aristotele, grazie anche alla sua formazio ne naturalistica,ribalta la posizione platonica: se Platone ha avuto il merito di individuare nelle idee quella che verrà definita la causa formale delle cose, cioè la loro "essenza necessaria", il suo errore è stato quello di porre tali principi, e il loro valore, al di fuori degli oggetti, rendendone incomprensibile il rapporto con la realtà. Al filosofo di Stagira appare insufficiente il tentativo platonico di sanare la frattura tra mondo e idee, corpo e anima, introducendo le dottrine dell'imitazione, della partecipazione e della presenza . Per lui le idee o "forme" rappresentano la struttura essenziale immanente alle cose stesse, la loro ragion d'essere, ciò che fa sì che siano quello che sono.
In questa prospettiva Aristotele assume le sostanze individuali come chiave di volta del proprio sistema, rivalutando ogni singolo ente particolare: «Non ci si deve annoiare infantilmente”egli scrive nel trattato Sulle parti degli animaliche già dal titolo è significativo - quando si studiano gli animali di minore importanza. Nelle opere della natura, e anzi massimamente in esse, vige infatti non il caso, ma la finalità: e questa finalità, per cui si viene all'esistenza, ha la natura e la funzione della bellezza»il punto di partenza della ricerca aristotelica sull'essere è dunque quell'universo che il platonismo aveva condannato, costituito da oggetti che possiamo percepire attraverso i sensi e a cui attribuiamo un nome e un significato: "questo cane", "questo gatto", "questo albero di mele", Lucio, Laura,Francesco..., ognuno dei quali è un "questo qui . 
Da una prospettiva metafisica "idealista" , che dalle idee andava alle cose, si passa a una prospettiva metafisica "realista", che dalle cose va alle idee e che implica la rivalutazione della sensibilità: è grazie agli organi di senso, infatti, che possiamo percepire le cose esterne e formarcene un idea. un concetto. nella nostra mente la mente infatti, sarebbe vuota, qualora i sensi non le fornissero la prima immagine delle cose.
Questa impostazione pone ad Aristotele un problema nuovo: è possibile dare un'interpretazione scientifica - vale a dire stabile, immutabile e necessaria - di cose che per conoscere loro natura sono variabili, mutevoli periture e soggette al cambiamento? Il problema scientificamente ciò che e dovette apparirgli un vero e proprio rompicapo. 
i cardini della sua metafisica: la sostanza, la materia,la for-ma, l'atto e la potenza. 

la domanda sull’essere 

le nozioni di potenza e atto
La risposta di Aristotele è che la sostanza è innanzitutto l'individuo concreto, il «questo qui»: Socrate, Giovanni, Paola, ma anche questo albero, questo animale, questa cosa... In particolare, nelle Categorie Aristotele definisce gli enti di questo tipo «sostanze prime», in quanto esistono in modo autonomo e fungono sempre e soltanto da soggetti. Esse possono essere considerate sotto una duplice prospettiva: ontologica e logica, e ciò in virtù della corrispondenza istituita da Aristotele tra realtà e conoscenza, secondo cui il pensiero è speculare all'essere, ne riproduce l'immagine e la struttura. Dal punto di vista onto logico, le sostanze sono i soggetti reali cui ineriscono le varie proprietà ; dal punto di vista logico, le sostanze sono i soggetti logici i quali, nel processo conoscitivo, «reggono» i vari predicati . Lo schema sottostante può essere utile per focalizzare questi concetti Dalle sostanze prime, che non devono essere riferite ad altro che a se stesse, il filosofo Le sostanze distingue le sostanze seconde: si tratta di quei concetti universali - le specie e i generi - che per Aristotele non possono esistere indipendentemente dagli individui concreti .Secondo Aristotele, dunque, l'essere non coincide con il mondo delle ideecome affermava il suo maestro. La sostanza  è un insieme di sostanze o enti «individuali», cioè un insieme come sinolo di individui singoli dotati di varie qualità. Ognuna di tali sostanze individuali è concepita come sinolo, cioè unione indissolubile, di forma e materia. 
La materia è l'elemento materiale che viene plasma to dalla forma, il materiale indeterminato che solo grazie alla forma assume una configurazione particolare; ad esempio, in una colonna di pietra la materia è rappresentata dalla pietra grezza, mentre la forma dall'idea che ne esprime l'essenza .Con tale dottrina Aristotele supera definitivamente la dicotomia platonica tra idee e cose sensibili, in quanto l'idea» viene ora a costituire la natura necessaria delle cose, il loro principio interiore. La sostanza è dunque, per il filosofo,«individuo concreto», sinolo di materia e forma, ma anche e soprattutto «forma», natura essenziale in virtù della quale una cosa è proprio quella cosa e non un'altra. Ad esempio, la sostanza è ciò che mi permette di capire che Socrate è un uomo non in base al fatto che abbia i capelli bianchi o la pancia prominente, ma in quanto «animale dotato di ragione».È in questo senso che la sostanza è la categoria fondamentale e primaria degli enti: il suo essere si distingue da quello di tutti gli altri enti designati dalle categorie, i quali non sono che accidenti, nel senso etimologico del termine ,che allude a «ciò che accade» alla sostanza, al fatto che essa ha particolari attributi.  Il colore dei capelli o l'altezza sono qualità accidentali, predicati che possono essere riferiti o meno alla sostanza, senza modificare quell essenza che costituisce il suo sostrato immutabile e permanente. la materia è quell'elemento indeterminato che ha la potenzialità di assumere determinazioni successive, rendendo cosi possibile il cambiamento. La forma è, invece, l'elemento attuale, permanente e riconoscibile della forma delle cose.

La sostanza come insieme di potenzialità e attualità
La sostanza che abbiamo analizzato, definendola sinolo, alla luce della teoria del divenire si precisa dunque come insieme indissolubile di formata" potenzialità e di attualità.
Si tratta di un esito importantissimo che Aristotele illustra nel libro IX della Meta-fisica con i seguenti esempi: «È atto l'esistenza reale dell'oggetto in un senso diverso da come diciamo che l'oggetto è in potenza.
più avanti aggiunge le seguenti analogie: l'atto sta alla potenza «nello stesso rapporto in cui chi sta costruendo con chi ha la capacità di costruire, anche chi è sveglio è in rapporto con chi sta dormendo, e chi vede con chi, pur avendo la vista, ha gli occhi chiusi» . L'atto precede sempre la potenza. Per poter generare un bambino è sempre necessario che ci siano un padre e una madre, cioè dei genitori in cui la forma umana sia pienamente attuata. Ovunque una potenza si concretizzi in atto, c'è sempre un essere in atto che può essere riconosciuto come sua causa.Nessuna possibilità può, da se stessa, trasformarsi in realtà attuale. In termini filosofici, diciamo che l'atto precede la potenza sia rispetto alla sostanza, in quanto il padre è anteriore al figlio, la pianta produce il seme, la gallina l'uovo; sia rispetto al valore, poiché l'essere attuale è segno di perfezione realizzata .La possibilità denota invece un grado inferiore di realtà : dal seme potrebbe nascere una pianta, ma potrebbe anche non nascere. Se la potenza è "possibilità di essere", mancanza di forma e insieme possibilità di acquisirla grazie al processo del divenire, ciò che è atto, cioè forma realizzata di una potenzialità, è nello stesso tempo potenza di una forma successiva: 'arboscello è atto rispetto al seme, ma potenza rispetto alla pianta; il pulcino è atto rispetto all'uovo, ma potenza rispetto alla gallina. Non potendo considerare infinito questo processo, Aristotele riconosce due termini che ne rappresentano i limiti estremi: da una parte pone la materia prima, assolutamente priva di forma e di attualità, indeterminata e inconoscibile, un sostrato che si distingue dalle materie  della nostra comune esperienza , le quali, differenziando-si l'una dall'altrahanno già una configurazione particolare ; dall'altra riconosce la forma pura,cioè l'assoluta attualità e perfezione della sostanza immobile ed eterna, che coincide con Dio ed è oggetto della teologia. Per quanto riguarda il concetto di materia prima pura potenzialità, semplice, indefinita e illimitata possibilità di divenire, si tratta di una nozione che non trova riscontri nella realtà in quanto quest'ultima è sempre, come abbiamo visto, "materia formata". 
LA FISICA,DIO E L’ANIMA
La fisica come scienza teoretica
Per Aristotele lo studio del mondo fisico è parte delle scienze teoretiche , che rappresentano il vertice a cui può giungere la conoscenza degli uomini; il filosofo, dunque, eleva al rango di scienza proprio quel mondo naturale che Platone aveva considerato inferiore e fonte di ragionamenti «probabili», non totalmente affidabili.La fisica aristotelica è qualitativa, nel senso che tiene conto esclusivamente delle propietà essenziali di ogni sostanza e stabilisce una differenza qualitativa tra gli elementi, e finalistica, in quanto coglie una finalità nei singoli processi dell'universo; essa, inoltre, nega ogni valore alla matematica applicata alla natura. 
Nei paragrafi seguenti analizzeremo i temi fondamentali trattati nelle due importantissime opere della Fisica e della Metafisica: la dottrina delle quattro cause, i diversi tipi di mo-vimento presenti nell universo, limmagine del cosmo,la concezione di Dio e dellanima. Per quanto riguarda la trattazione del problema di Dio, precisiamo che viene consi-derato in continuità con il discorso fisico sulla natura, proprio perché il Dio di Aristo tele non e una divinita personale, ma un ipotesi resa necessaria dalle tesi sulla struttura causalistica dell'universo. 

La teoria delle quattro cause
1 causa materiale
2causa formale
3causa efficiente
4 causa finale
Nei processi naturali la causa formale, la causa efficiente e quella finale si presentano
unificate e dunque le cause si riducono a due: il fiore è nello stesso tempo la forma, la
causa efficiente (perché si sviluppa da sé) e il fine della trasformazione del seme; invece,
nei processi artificiali esse sono disgiunte: in una scultura, ad esempio, la causa materiale è la materia utilizzata, la causa formale è l'idea dell'artista, la causa efficiente la sua
attività, il fine l'espressione artistica o la gloria.Nella prospettiva aristotelica particolare importanza riveste la causa finale. Aristotele ritiene che la natura non agisca mai senza uno scopo e che tutti i processi fisici o biologici rispondano a una legge intrinseca di carattere
finalistico. si tratta di una visione ottimistica dell'universo che, in termini tecnici, possiamo de-
finire teleologica , in quanto crede in un ordine finalistico e necessario che governa il mondo in ogni sua parte, per quanto piccola e apparentemente insignificante.

La teoria del movimento
esistono quattro tipi differenti di movimento:
di movimento
1. il movimento sostanziale
2. movimento qualitativo
3. movimento quantitativo
4. movimento locale distinto in tre forme: 
1 circolare
2 dall’alto verso il centro 
3 dal centro verso l’alto

la visione del cosmo
Quella che Aristotele fornisce nella sua Fisica è una descrizione del mondo del tutto insostenibile sulla base delle conoscenze scientifiche conseguite nell'età moderna e contemporanea, ma, come abbiamo accennato, è di fondamentale importanza per l'influenza che ha esercitato sulla cultura occidentale fino alla rivoluzione scientifica del Seicento.
Come quasi tutte le altre descrizioni cosmologiche antiche, anche l'universo aristotelico ha al proprio centro la Terra, che è sferica e immobile, cir-condata dall'atmosfera sublunare, oltre la quale si estende la parte più importante dell'uni-verso, che è rappresentata dalle sfere divine dei corpi celesti eterni e incorruttibili.Lo sviluppo della vita umana individuale, invece, come quello delle altre particolari creature viventi, segue il ritmo della nascita, maturazione, corruzione e morte, e i cicli si ripetono incessantemente, scanditi dal trascorrere del tempo. 

Uno sguardo dall'esterno
Provando ad immaginare che cosa vedremmo se, con una navicella  spaziale, ci collocassimo in un punto esterno all'universo aristotelico. Come ci apparirebbe? Avremmo L immagine di una grandissima sfera rotante secondo un moto perenne e circolare, che, come abbiamo detto, è il movimento più perfetto che ci sia. La materia di cui queste sfere sono costituite, come sappiamo, è l'etere, una sostanza incorruttibile, traslucida e luminosissima. Queste sfere, inoltre, si muoverebbero per reciproco contatto, dal momento che per Aristotele nell'universo non c'è il vuoto e il movimento può trasmettersi soltanto meccanicamente. Raccogliendo queste immagini, possiamo dire in sintesi che, visto dall'esterno, l'universo aristotelico ci apparirebbe come una grande e meravigliosa macchina, perfettamente sferica, ordinata e ruotante in modo circolare, suddivisa in due parti: la prima, quella interna della Terra, in cui le cose si succedono con un processo di generazione e corruzione ; la seconda, quella esterna, formata da sostanze eterne e indistruttibili, dove non si dà né generazione, né corruzione, ma soltanto il moto perpetuo circolare. 

La concezione di Dio
Dio è la sostanza immutabile ed eterna che, secondo Aristotele, causa il movimento
dell'universo. Il Dio di Aristotele non si identifica con quello delle religioni monoteiste e neppure con la visione che di esso ci darà nel Medioevo un pensatore aristotelico come Tommaso d'Aquino.Che cos'è dunque il Dio di Aristotele? E il principio supremo dell'universo, il culmine logico a cui fa capo la macchina cosmica elaborata dal filosofo e la spiegazione ultima del movimento e del cambiamento. per evitare un interminabile rinvio da una causa all'altra, deve esserci necessariamente una sostanza prima, eterna (perché è eterno il movimento che essa produce), non soggetta al cambiamento o al mutamento e dunque immobile, che, in virtù
della sua assoluta "attualità", può imprimere il primo movimento all'universo. Tale sostanza è Dio, il «primo motore immobile». Dio deve essere sostanza pura non frammista a materia. La materia, infatti, è potenza, cioè la possibilità di divenire e di assumere ulteriori determinazioni. Ma Dio non può essere un ente potenziale, non ancora determinato, in via di sviluppo o crescita. Dio dunque esiste, anzi deve esistere, perché nel mondo ci sia il movimento. E deve essere sostanza incorporea, immobile, pura e assolutamente attuale, cioè perfettamente e totalmente compiuta in se stessa. A tale sostanza non si può attribuire se non il genere di vita più nobile ed eccellente, cioè quello del pensiero, l'«attività dell'intelligenza». Egli, essendo perfetto, pensa la cosa più perfetta, e cioè pensa se stesso. 

l’anima principio della vita 
Aristotele vede il trattamento dell’anima come parte della fisica. In secondo luogo, studia effettivamente la natura in generale, i principi dell’universo fisico, nonché gli esseri inanimati e animati che lo popolano. In questo contesto, l’anima è concepita come una forma “intrecciata”, ridotta a materia.È il principio di vita insito negli esseri viventi esattamente legato al corpo, di cui ne rappresenta la causa formale, effettiva e ultima. Per Aristotele il corpo è solo materia e potenza tradotti in vita “in azione”per mezzo dell’anima: quindi l’anima è inseparabilmente unita al corpo, tanto che è inaccettabile che l’anima viva dopo la morte. Aristotele riconosce tre diverse funzioni dell’anima: la funzione vegetativa, la funzione sensitiva e la funzione intellettiva

dai sensi all’intelletto
Per Aristotele tutta la conoscenza nasce dai sensi: l'intelletto non potrebbe apprendere nulla se i sensi non gli offrissero la materia da elaborare e strutturare . tuttavia, la mente delluomo non è un mera ricettacolo passivo di sensazioni, ma è anche attiva. La mente, cioè, attualizza e dà forma alle labili e confuse sembianze che la facoltà immaginativa le presenta. secondo il filosofo, il processo conoscitivo si svolge attraverso tre stadi tra loro congiunti: 
1: la conoscenza sensibile, che deriva dei cinque sensi 
2:l’immaginazione che produce le immagini o riproduzioni mentali 
3: la conoscenza intellettiva che agisce sulle immagini, ricavate loro volta dalla sensibilità astraendo da esse la forma intelligibile, ovvero il concetto universale

L’intelletto attivo e l’intelletto passivo
Occorre precisare che l'intelletto a un primo livello è solo passivo, cioè ha soltanto la «possibilità» di cogliere l'universale, ma, come tutto ciò che è in potenza, necessità di una realtà in atto che gli permetta di realizzarsi. Esso è come un foglio bianco su cui non abbiamo ancora scritto nulla, che può accogliere qualsiasi tipo di messaggio; una tabula rasa su cui la sensibilità imprime le proprie immagini, ma che solo potenzialmente può trasformarle in concetti.L'intelletto attivo può essere paragonato alla nostra mente, l'intelletto passivo alla pagina bianca del nostro programma di scrittura.Questa dicotomia introdotta da Aristotele nell'anima razionale, in cui riaffiora l'eco del dualismo platonico, ha da sempre creato difficoltà interpretative. Non è chiaro, infatti, a chi appartenga l'intelletto attivo, se al singolo individuo, al genere umano o a Dio, e non si comprende pienamente quali siano i suoi rapporti con l'immaginazione e la sensazione.

L’ETICA E LA POLITICA

il fondamento concreto dell’etica aristotelica
L'etica è una scienza pratica, che si occupa del comportamento dei singoli; il suo oggetto è  la pretesa universalistica di un unico punto di vista morale, si sforza di trovare un compromesso intorno alla questione dei valori, considerando il rapporto tra gli individui, e tra questi e le istituzioni, in modo relativo e dinamico. Una vivace metafora ci può aiutare a comprenderne il significato e la portata: nell'Etica nicomachea Aristotele sostiene che chi in ogni occasione pretende di decidere appellandosi a principi generali considerati saldi e inflessibili si comporta come l'architetto che tenti di usare una riga diritta per misurare le complesse curve di una colonna scanalata. L’etica si occupa di modi di vivere e di agire degli uomini, che presentano i due seguenti tratti inconfondibili: 
1: sono diversi gli uni dagli altri a seconda del tempo e del luogo in cui si esplicano;
2: dipendono dalla libera volontà delle persone


la ricerca del “giusto mezzo“
Il modello a cui Aristotele si ispira non è più quello chiuso e ristretto di una casta sacerdotale o del ceto aristocratico, come nel caso rispettivamente di Parmenide e di Platone, ma quello moderato tipico della classe media, che gode di buone condizioni economiche e che è decisa a mettere il più possibile a frutto le risorse sociali e umane di cui dispone. Un acuto storico della filosofia, Emile Bréhier, a tal proposito ha detto che l'etica aristotelica potrebbe rappresentare «la morale di una signora della media borghesia», benestante, benpensante e soprattutto ben disposta verso il prossimo; una morale propria del possidente di terre, mediamente ricco e interessato a un'amministrazione efficiente della casa e della cosa pubblica. 
la generosità è una virtù perché sta in mezzo tra l'avarizia e la prodigalità; la mansuetu-dine è una virtù perché è il giusto mezzo tra 'irascibilità e l'indolenza. 

la felicità quale fine dell’etica
Il fine dell'etica è la felicità, la quale coincide con quella condizione di benessere che l'uomo sperimenta quando sta bene con se stesso, con gli altri e con il proprio ambiente. 
Tutte queste forme di vita (vita edonistica, vita politica e vita teoretica o contemplativa) confluiscono e si conciliano nella vita dell'uomo sapiente e virtuoso, che esercita le virtù proprie dell'anima razionale. Per Aristotele, infatti, la virtù rappresenta la disposizione abituale e costante ad agire secondo ragione. Vi sono due tipi di virtù: le virtù dianoetiche e le virtù etiche : le prime consistono nell'esercizio stesso della ragione e si distinguono in arte , saggezza , intelligenza , scienza e sapienza ; le seconde consistono nella disposizione a vivere secondo ragione, cioè a dominare, con la razionalità, gli impulsi sensibili. Esse sono, ad esempio, la moderazione, la magnanimità, la temperanza...; la virtù etica più importante è la giustizia, come vedremo trattando la politica che su di essa è fondata.
saggezza: È la capacità concreta di condurre la propria vita sotto la guida della ragione, che illumina gli individui nella scelta del giusto mezzo dei modi per raggiungerlo.
sapienza : È la forma più elevata di conoscenza cui l’uomo possa attingere. Essa consiste nella conoscenza fine a se stessa, priva di interessi contingenti di carattere utilitaristico. Si applica le verità più alte universali.


L’amicizia
Aristotele riserva uno spazio significativo alla trattazione di un tema molto sentito nell'antichità, ma che riveste grande importanza in ogni tempo: ci stiamo riferendo all'amicizia, la philía, che viene considerata come una virtù o qualcosa di stretta-mente congiunto alla virtù.Che cos'è l'amicizia? Per rispondere alla domanda, come al solito il filosofo distin-gue vari aspetti dell'argomento.L'amicizia è di tre tipi: può fondarsi sull'utile, sul piacevole o sul bene. Coloro che stringono amicizia in virtù dell'utile o del piacevole non si apprezzano per se stessi, ma in vista di un qualche vantaggio reciproco. Gli anziani sono portati a stabilire amicizie dalle quali potrà derivare qualche vantaggio,i giovani a ricercare amicizie basate sul piacere. In entrambi i casi si tratta di amicizie effimere, destinate a esaurirsi non appena cessi l'utilità o la piacevolezza. La perfetta amicizia è quella che si fonda sulla virtù e sul bene, in cui si stima l'amico in quanto persona, in modo disinteressato; si tratta di un'amicizia poco frequente, che si con-solida nel tempo attraverso una comunanza di vita e di intenti.Per Aristotele non si possono avere molti amici, perché la vera amicizia presuppone un uguale status sociale e morale e una mirabile intesa reciproca, condizioni che non sono facili da raggiungere. Infine, non si deve confondere l'amicizia con la benevolenza e con l'amore, in cui entrano in gioco la seduzione, la bellezza e l'attrazione. 
l’uomo come “animale politico“
Passando a trattare ora l'aspetto sociale dell'uomo, siamo condotti oltre la sfera dell'e-tica verso quella propriamente politica. 
Tuttavia, come già nel campo etico, dobbiamo riconoscere alla pro-posta politica di Aristotele grande equilibrio e realismo. Il compito primario della politica è quello di assicurare le migliori condizioni di be-nessere per i cittadini. Tra etica e politica c'è dunque continuità: la vita associata deve rispettare le finalità insite nella natura umana e, inoltre, deve perseguire la giustizia che, come abbiamo accennato, è la più importante delle virtù etiche. Alla base dello Stato c'è, infatti, la famiglia, una complessa struttura a carattere sociale che agli aspetti affettivi e privati congiunge una dimensione economica e pubblica: la famiglia - si fa riferimento a quella del proprietario terriero - è un'unità produttiva non solo sotto il profilo della generazione dei figli, ma anche rispetto alla gestione della casa e delle attività agricole. La moglie è persona libera, ma è sottomessa all'autorità del marito in quanto non gode pienamente dei diritti giuridici, come era normale nell'orizzonte della cultura del tempo; secondo Aristotele, la donna anche psicologicamente non è idonea a svolgere compiti di direzione e di comando . Interessante, sotto il profilo storico, è l'analisi che Aristotele ci ha lasciato della schiavitù. Si tratta di una definizione inquietante, che va però inserita nell'orizzonte storico della Grecia antica, in cui la schiavitù era considerata un'istituzione naturale. Egli, però, sapeva essere anche più moderato, ad esempio quando affermava che la cattura del nemico in guerra non doveva comportare la sua riduzione in schiavitù e che se gli aratri fossero stati in grado di arare da soli non ci sarebbe stato bisogno di schiavi. 

il buon governo
Le famiglie rappresentano gli elementi costitutivi della società: esse si riuniscono in villaggi i quali, unendosi a loro volta, danno origine alla pólis, la città-Stato.
Il sentimento della crisi non intacca la sua visione dell'uomo, anzi conferma la grande importanza che attribuisce all'ideale di vita comunitario.Doveva trattarsi di un materiale ragguardevole - sfortunatamente andato perduto, eccetto la Costituzione degli Ateniesi -, da cui il filosofo ha tratto spunto per le sue riflessioni sui regimi politici.
1. la monarchia 
2. l'aristocrazia
3. la politeia o governo della moltitudine in vista del vantaggio di tutti.
LA POETICA
L’indagine specifica sulle arti
Nell'enciclopedia aristotelica le scienze poetiche o produttive riguardano l'ambito della produzione di opere e della manipolazione di oggetti. Il tema dell'arte viene sviluppato, oltre che nei libri VII e VIII della Politica, soprattutto nella Poetica, un'opera che ci è stata tramandata incompleta , scritta molto probabilmente con una finalità didattica e forse destinata a essere integrata dalle lezioni orali del filosofo. 

 la naturale tendenza degli uomini alla rappresentazione

Nell'enciclopedia aristotelica delle scienze, le arti, insieme alle tecniche, poiché fanno La libertà della parte delle scienze poetiche, hanno come oggetto il possibile , come metodo un tipo di ragionamento non dimostrativo, e come scopo la produzione di oggetti che possiedono un'esistenza autonoma rispetto al soggetto.
Secondo Aristotele, il desiderio di rappresentazione della realtà è una tendenza naturale.  Il desiderio
 degli uomini, che si distinguono dagli animali appunto per la predisposizione che raooresentazione manifestano fin da piccoli a riprodurre la propria esperienza mediante le parole, i suoni e le immagini. L'umanità primitiva ha manifestato questa propensione attraverso la rozza imitazione e riproduzione di animali o di oggetti quotidiani, ma la capacità espressiva si è evoluta nel tempo per giungere, con Omero, a uno dei suoi esempi più perfetti.

1.L’arte è un’attività libera;

2. è un’attitudine naturale dell’uomo; 

3. è fonte di diletto perché è un modo privilegiato di conoscere la realtà

L’universalità dell’opera d’arte

Per il filosofo l'arte è un'attività che imita la natura o i fenomeni sociali e storici attraverso varie modalità e con strumenti espressivi diversi: la pittura utilizza i colori e le forme; la poesia impiega la parola, scritta o recitata; la musica il suono. Diversi sono anche gli oggetti dell'opera d'arte: la tragedia, ad esempio, riproduce un'azione seria, con attori che, sulla scena, interpretano personaggi «superiori» riproducendone il dramma umano e inducendo nello spettatore emozioni grandi e forti; la commedia è invece un genere «basso»', perché presenta situazioni quotidiane e si serve di figure dai caratteri ordinari.essa, infatti, lungi dall'essere mero «specchio» della realtà, trascrive i fatti in uno spazio strutturato e ordinato, quello dell'opera letteraria, e quindi conferisce al materiale da cui si ispira un ordine «poetico» che è anche un ordine «logico». Aristotele identifica tale logica nei seguenti tre momenti, che caratterizzano tutta la poesia drammatica: 1) l’inizio; 2) lo sviluppo e 3) la conclusione. La poesia, dunque, muove dai fatti, li interpreta e li elabora alla luce della ragione. Essa è una creazione "fantastica" solo nel senso che narra una "favola" che si ispira alla realtà, ma colloca le vicende di cui si occupa in un sistema coerente e dotato di un significato universale.

L’arte come forma di conoscenza superiore alla storia

 Aristotele ricorre al concetto di verosimiglianza. Egli afferma verosimiglianza che l'arte non ha come oggetto il "vero", ma il verosimile, non quello che accade, ma quello che potrebbe accadere «secondo verosimiglianza e necessità». Per tornare all'esempio del paragrafo precedente, nell'Iliade la guerra di Troia è presen-tata raccontando tutti quei fatti - quelle emozioni, quei sentimenti, quelle sensazioni.
In questo risiede anche la straordinaria attualità dell'opera e il motivo per cui ancora oggi, leggendo i poemi omerici - o qualsiasi altro testo letterario di pari valore e intensità -, possiamo immedesimarci nei personaggi, comprenderne il dolore o la gioia, capire il "no-stro" mondo attraverso quello descritto, anche se collocato in un passato remoto.infine filosofo si sofferma sulle tre unità ovvero: unità di azione, unità di tempo e unità di luogo.

la funzione catartica della tragedia

Per Aristotele, la rappresentazione delle passioni umane ha una fun-zione estremamente positiva, che egli definisce «catartica».
presentazione spogliata di ogni aspetto negativo, o di purificazione «dalle» passioni, intesa come possibilità, per l'uomo, di affrancarsi psicologicamente dal loro peso in seguito alla partecipazione alla scena rappresentata nell'opera.
Assistendo al dramma rappresentato - Aristotele parla principalmente della tragedia -, lo spettatore è portato all'identificazione con i personaggi e dunque sperimenta, in una dimensione «protetta» e «attenuata» , quelle passioni e quegli istinti che nell'immediatezza della vita risulterebbero devastanti per la sua psiche.
Vivendo attraverso i sentimenti dei personaggi i propri sentimenti, quelli da cui è afflitto personalmente, egli in qualche modo se ne libera o, almeno, li attenua sfogandosi e neutralizzando i loro aspetti più nocivi.

come si ottiene la catarsi?

I principi alla base della catarsi aristotelica erano noti ai medici antichi, in particolare della scuola di Ippocrate, i quali curavano alcune malattie causate da un accumulo irre-golare nel corpo di qualche umore provocando la sua eliminazione, al fine di alleggerire l'organismo del paziente e riportarlo alla normalità.
Possiamo immaginare che Aristotele volesse suggerire qualcosa di analogo con la sua teoria della catarsi, la quale si fonda sul principio secondo cui il rimedio delle passioni non consiste nel contrastarle, ma nell' assecondarle, concedendo loro un'espressione adeguata.
In particolare, il poeta dovrà immaginare in anticipo gli esiti psicologici che la sua arte sortirà sugli spettatori, prevedendo il grado di «entusiasmo» che trasmetterà loro, speculare a quello provato dallo stesso poeta nella sua attività creativa ispirata dalla divinità. Secondo Aristotele, due sono le emozioni principali che egli può accendere: la paura e la pietà. 

la retorica 

Per Aristotele anche la retorica usa le parole e costruisce discorsi, come fa la poesia, ma con uno scopo molto diverso. Essa, dunque, è una scienza produttiva che ha come oggetto non il necessario , ma, come già la poesia, il «possibile», vale a dire ciò che accade «in linea di massima» e «perlopiù»
La retorica, infatti, si sviluppa nel fertile clima dei dibattiti politici del V secolo a.C. Ad Aristotele va il merito di avere definito, nell'opera intitolata Retorica, i suoi caratteri e il suo oggetto specifico. Per Aristotele sia persuasione quando si rispettano questi tre principi: 1 l’oratore deve essere onesto e degno di fede in modo da destare nel pubblico attenzione rispetto 2 l’oratore deve essere bravo e generare nell’anima degli ascoltatori le giuste emozioni 3 l’oratore deve essere in grado di motivare razionalmente, con adeguate argomentazioni, le tesi che intende sostenere. Se manca uno di questi elementi, la persuasione risulta difficile da ottenere e di breve durata.

LA LOGICA 

la forma dei ragionamenti 

La logica occupa un posto di primo piano nella filosofia di Aristotele ed è uno degli aspetti più studiati e approfonditi nel corso dei secoli. Abbiamo scelto di trattarla come ultimo argomento in quanto Aristotele stesso la colloca al di fuori del quadro di sistemazione delle scienze. Dobbiamo subito precisare che il vocabolo «logica» non è di Aristotele, ma risale con ogni probabilità agli stoici. Aristotele usa il termine analitica che allude all'arte di scomporre il ragionamento nei suoi elementi costitutivi semplici, per valutarne la legittimità e correttezza. È appena il caso di sottolineare che, poiché tutti noi aspiriamo a ragionare bene, la logica costituisce un capitolo essenziale nel nostro itinerario formativo. 

le opere di logica

Le opere logiche di Aristotele ci sono pervenute come una raccolta ordinata di trattati, riuniti in un corpus unitario nel I secolo a.C. da Andronico di Rodi. Tale disciplina è lo strumento che regola l'arte di ragionare e, in quanto tale, costituisce la base su cui le scienze costruiscono i propri discorsi e, più in generale, tutti noi ragioniamo. In sede introduttiva è molto importante sottolineare l'impostazione realista della logica di Aristotele. A differenza della logica formale moderna e contemporanea, infatti, che tende a costruire modelli astratti indipendenti dalla realtà, quella aristotelica è lo strumento che si propone di cogliere la «verità» delle cose e ha come suo oggetto lo studio dei ragionamenti scientifici, i quali riflettono la stessa struttura dell'essere. La logica aristotelica, dunque, non è una disciplina «formale», cioè orientata solo al-la «forma» del ragionamento, proprio perché ha sempre presente il «significato» dei termini e dei concetti, delle proposizioni e dei ragionamenti e per stabilire tale significato essa deve «uscire» dal linguaggio per confrontarsi con la realtà.Tra la logica e la metafisica c'è uno stretto legame e un'interdipendenza: la verità che cogliamo attraverso le procedure del pensiero altro non è che la realtà stessa delle cose tradotta in parole, concetti e ragionamenti. 

la logica dei concetti

I concetti sono le unità minime dei ragionamenti dotate di significato ed esprimono la natura o «essenza» delle cose. Ogni concetto si riferisce a un certo numero di enti: ad esempio, con il termine . Questo aspetto dei concetti viene denominato da Aristotele «estensione», perché indica l'insieme degli oggetti a cui si «estende» il concetto, cioè tutti i casi in cui è corretto usare quel termine; esso coincide con la funzione «denotativa» del concetto . L'«intensione» o comprensione dei concetti, invece, coincide con il loro significato, ossia con le caratteristiche che identificano un concetto e lo differenziano dagli altri. Per Aristotele, gli elementi che permettono di elaborare una “definizione “ dei concetti sono i seguenti: il genere prossimo, cioè il genere in cui il concetto può essere classificato sulla base delle sue caratteristiche essenziali e intuitive e la differenza specifica , ossia la differenza del concetto rispetto agli altri concetti dello stesso genere.


la logica delle proposizioni

I concetti entrano in una trama significativa di pensiero quando sono collegati in modo coerente. Noi conosciamo non grazie a fulminei atti di intuizione, ma in virtù di un processo logico che si basa sulla composizione di più concetti in proposizioni e di queste ultime in una cate-na complessa di discorsi.
Nell'ordine logico e grammaticale, si chiama «soggetto» il termine cui si riferisce una proprietà, mentre si definisce «predicato» la qualità che gli viene attribuita. vi possono essere anche proposizioni negative, in cui si nega l'attribuzione di una determinata qualità al soggetto.la forma generale delle proposte proposizioni dichiarativo è caratterizzata dalla presenza di quattro termini fondamentali: il quantificatore (tutti,nessuno e qualche) il termine soggetto, la copula, il termine predicato.

il quadrato logico

la lettera A  è attribuita alle proposizioni universali affermative 

la I alle proposizioni particolari affermative 

la lettera E alle proposizioni universali negative 

la  o alle proposizioni particolari negative

il principio di non contraddizione

Il principio di non contraddizione è valido, tra due proposizioni che stanno Il principio tra loro in una relazione contraria o contraddittoria, in quanto una delle due deve essere vera e l’altra falsa.

la logica dei ragionamenti

Per avere un vero e proprio ragionamento non basta chiamare in causa un concetto, e nemmeno affermare o negare qualcosa di un determinato soggetto: occorre che si connettano in modo opportuno due o più proposizioni in un discorso, arrivando a trarre delle conseguenze da determinate premesse. I logici suddividono i ragionamenti in due tipologie: i ragionamenti deduttivi e quelli induttivi. I ragionamenti deduttivi sono quelli che partono da premesse universali per giungere a conclusioni di carattere particolare mentre i ragionamenti induttivi partono da casi particolari per arrivare una conclusione generale. I ragionamenti deduttivi presentano inferenze conclusive e necessarie quelli induttivi producono prove interessanti e probabili, ma non sono conclusivi ne necessari.

il sillogismo

il sillogismo è la forma più importante di ragionamento deduttivo e possiamo definirlo come un’argomentazione contenente due premesse e una conclusione. La sua struttura è composta da una premessa maggiore,da una premessa minore e una conclusione. La premessa maggiore è un’estensione più ampia della premessa minore. In ogni sillogismo troviamo i seguenti elementi fondamentali: un termine medio (che è un’estensione media del contenuto in entrambe le premesse); un termine maggiore (che l’estensione maggiore del contenuto nella premessa maggiore e, come predicato nella conclusione) un terminato minore (che ha l’estensione minore ed è contenuta nella premessa minore e come soggetto nella conclusione )

la coerenza formale 

nel sillogismo è molto importante la coerenza interna della catena delle inferenze; bisogna tener presente la distinzione fondamentale tra la validità del sillogismo, che riguarda la correttezza della procedura formale, e la verità o falsità dei suoi enunciati. la verità o falsità di un sillogismo dipende dalla verità o falsità delle sue premesse.il sillogismo deve giustificare il valore di verità delle premesse e la verità di quei principi che rappresentano il punto di partenza di ogni deduzione e quindi di ogni singola scienza. Aristotele emette che non ci sono alcune verità prime, universali ed evidenti che pur non potendo essere dimostrate, sono colte per intuizione diretta dell’intelletto. Aristotele inoltre annovera tra i principi primi le “definizioni “, che esprimono l’essenza degli enti, le caratteristiche fondamentali. Ogni scienza ai propri principi primi indimostrabili o assiomi, dai quali è possibile partire per costruire argomentazioni e inferenze valide e presumibilmente vere . 

la dialettica

Platone definisce scienza somma è divina la dialettica mente Aristotele la definisce una scienza della discussione della confutazione, non della dimostrazione. La dialettica rientra nel campo del sillogismo ma si tratta di un sillogismo inferiore poiché le premesse il sillogismo dialettico non so non è vere necessarie, ma opinabili .





 


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